Intervista a Alberto Saddi naturalista di Voci dal Bosco sul fototrappolaggio

La storia di Alberto Saddi

Indice dell'articolo

Ciao Alberto piacere di conoscerti e benvenuto! Iniziamo con le presentazioni:

Ciao a tutte/i! Mi chiamo Alberto Saddi, ho 33 anni, naturalista specializzato in Conservazione e Gestione del Patrimonio Naturale; osservatore, ogni qualvolta sia possibile esploratore, curioso.

Nel mio percorso ho collaborato con alcune università, soprattutto per studi inerenti ungulati dei nostri monti (Stambecco, Camoscio appenninico e Cervo in particolare), con associazioni di caccia del centro Italia su piccoli/medi mammiferi e con associazioni dedicate all’educazione ambientale per i più giovani e per coloro che iniziano ad approcciarsi al mondo naturalistico.

Momentaneamente freelance sul territorio “di casa”, i monti tra il Veronese ed il Trentino, collaboro con associazioni di educazione e comunicazione ambientale oltre che con gli enti parco e di monitoraggio faunistico dell’area.

Da quanto tempo ti occupi di fototrappolaggio?

Mi occupo di fototrappolaggio da relativamente poco tempo, 4 anni circa, da quando decisi di utilizzare i miei studi ed esperienze, abbinate a questa tecnica, a supporto del monitoraggio della fauna sul territorio veronese svolto dalle autorità preposte.

Che cos’è il fototrappolaggio per te?

E’ principalmente uno strumento di lavoro e di conoscenza, un mezzo che permette di raccogliere dati relativi alla presenza di specie elusive, monitorare l’utilizzo spazio-temporale di determinati habitat da parte di alcuni taxa, il loro variare negli anni per, eventualmente, arrivare a modelli finalizzati alla gestione di determinate entità.

E’ un mezzo che spesso permette di osservare ciò che altrimenti non si potrebbe, è quindi spesso fonte di piccole piacevoli sorprese ed emozioni, da integrare con quelle normalmente “raccolte” su campo.

In questi quattro anni, partendo da un concetto di precauzione, cautelativo a livello di disturbo nei confronti dei selvatici, mi ha portato ad avere ancora maggior rispetto delle aree studiate e degli abitanti del luogo, oggetto di studio e non.

Dove svolgi il fototrappolaggio?

Principalmente sui territori in cui sono cresciuto a livello naturalistico, dal Parco Regionale della Lessinia al Monte Baldo, dalla parte meridionale del Trentino alle confinanti zone vicentine.

E’ per me fondamentale essere consapevole di conoscere davvero a fondo un territorio e le specie lì presenti sotto multiple variabili; evitare di osare, di rischiare di andare ad arrecare un disturbo eccessivo e/o potenzialmente significativo per l’integrità dell’osservazione e dello studio stesso è uno dei primi pensieri.

Parlaci della zona dove posizioni le fototrappole. Che fauna è presente? La presenza umana è invasiva?

Beh, la fauna presente è caratterizzata dalle classiche specie della zona prealpina.

Significativo è stato per quest’area il ritorno del lupo, sia per ciò che esso rappresenta a livello faunistico/naturalistico sia per quello che rappresenta per l’uomo. Ritorno avvenuto poco meno di dieci anni fa.

E’, storicamente, un area ad elevata presenza di attività produttive e di conseguenza di interesse umano/culturale oltre che economico per le genti del luogo. Questo arrivo ha portato alle reazioni che tutti possono immaginare, da un estremo all’altro.

Credo sia un’area in cui la ricerca dell’equilibrio dinamico tramite un concreto dialogo, rispettoso della ricerca scientifica ma al contempo degli interessi della popolazione locale, si sia posta in modo netto come unica soluzione possibile.

Temi attuali che, a parer mio, potrebbero portare ad un incremento del collante sociale e di interessi, per uno sviluppo reale di questo territorio, dedalo di ricchezze.

Pressante è la richiesta di concretezza decisionale, chiarezza gestionale e prospettica, oltre che comunicativa, per giungere a questi risultati, forse ambiziosi ma certamente alla portata.

Quali fototrappole hai usato e quale consigli?

Ne ho usate differenti, dalle “no-name” ad altre commerciali tra le quali Apeman, Scoutguard, Bushnell, Browning.

Ovviamente ogni strumento ha i suoi pro ed i suoi contro: dal costo all’affidabilità e resistenza, dalla qualità video alle limitazioni notturne, dalla diversa lunghezza d’onda emessa al peso.

Personalmente prediligo lavorare con alcune di queste, in particolare Browning e Bushnell. Le prime hanno una qualità video ottimale ma hanno pure la limitazione notturna dei 20 secondi di ripresa e a livello di trigger non sono il meglio da me provato, ma se continueranno ad evolvere come sembra saranno questioni inesistenti tra qualche anno. Le seconde hanno dei costi un pelo più limitati, miglior trigger; non hanno però il live view in loco, cosa per me non da poco.

Dipende dall’obbiettivo della ricerca, come sempre, ma, in prodotti commerciali, i 940 nm effettivi, il trigger e la qualità foto/video per eventuali dettagli su singoli individui sono per me le tre variabili primarie.

Hai dei consigli per un novizio?

Mi sento di fare una distinzione tra chi è nuovo a questo tipo di strumentazione ma ha delle ampie basi conoscitive del mondo animale e chi, invece, è “novizio” di buona parte del mondo dei selvatici. Di questi tempi tanti stanno prendendo il fototrappolaggio come un gioco, un attività di svago, quasi come primo approccio alla Natura, alla Montagna, alla fauna selvatica.

Avere a propria disposizione delle tecnologie è buona cosa, sempre e solo se ne deriva un uso consapevole ed equilibrato, a mio parere. Questo vale pure per le fototrappole.

Essendo spesso a contatto con persone che hanno una passione, anche forte, ma non le conoscenze e l’esperienza necessaria mi viene qui da sottolineare che esplorare, conoscere un territorio e la fauna che lo abita, avvicinarsi gradualmente e studiando passo passo ha un sapore, oltre che un risultato formativo, ben diverso dal buttarsi “a naso”. Conoscere una zona nel dettaglio, una popolazione, un individuo può essere una delle esperienze più significative che la Natura possa offrire; bisogna però essere pienamente consapevoli di ciò che si fa, da dove si parte, il perché lo si fa, il dove si vuole giungere. Così ha più gusto e dà più soddisfazione pure il fototrappolaggio.

“Prendere e lanciare” uno strumento in mezzo ad una foresta, beh, è un po’ limitante oltre che rischioso a causa dei furti. Potrebbe essere controproducente e/o dannoso andando ad alterare il risultato del lavoro di professionisti se posta nelle immediate vicinanze.

Soprattutto in presenza di specie particolari e/o luoghi/periodi specifici (rendez-vous, nidificazione, tane ecc) consiglierei di confrontarsi con il personale addetto al monitoraggio quasi sicuramente presente anche in quella zona.

Per chi invece ha delle basi conoscitive e scientifiche già solide suggerirei di informarsi sulla legislazione, la strumentazione e “addentrarsi” lentamente, consultandosi con chi ha maggior esperienza, gustandosi i risultati che vengono. Scoprirà il come ogni specie si differenzi da un’altra e, a seconda del target che si porrà, saprà muoversi meglio per avere un osservazione nitida, integra, il meno disturbata o influenzata possibile.

In sostanza: più realistica, migliore.

Qual’è stato l’animale che è stato più difficile riprendere?

Una bella domanda….. Il gallo cedrone è decisamente un animale speciale per me: mitologico, custode di tanti profondi segreti. A dir poco elusivo, molto poco presente nelle aree in cui opero. Posso contare gli avvistamenti diretti su una mano o poco più, in quest’area.

Dopo aver perlustrato per settimane una zona che conoscevo solo superficialmente e aver avuto conferma di una presenza stabile grazie alle tracce riconducibili ad un maschio di cedrone ho cercato di comprendere se avesse dei percorsi, dei “pattern” più utilizzati. Non trovando riferimenti bibliografici ne grosse esperienze di fotorappolaggio al riguardo, e dopo aver approfondito lo studio sulla biologia della specie ho deciso di tenere la camera alta dal suolo e possibilmente alle spalle di alcuni percorsi in cui si mostrava andare sempre in un’unica direzione. Montandola solo su alcune specie vegetali delle quali non sembra curarsi per nulla, o quasi, rispetto ad altre che predilige.

Ha continuato a stare in zona ma sembrava un individuo fortemente sensibile alle fototrappole, o almeno così ho stimato. E’ d’altronde stanziale e conosce nei minimi dettagli la sua casa. Limitando al massimo la mia presenza, mimetizzando meglio la fototrappola e cercando di stare sempre alle spalle ed in alto ho alla fine ottenuto una ripresa di pochi secondi che ha significato molto, come mia prima esperienza su un individuo di questa specie.

E quello che ti ha dato più soddisfazioni?

Spero sempre il prossimo! Sicuramente moltissimi, ma più che i video in sé direi i percorsi fatti per giungervi e l’aver sensibilmente approfondito la conoscenza di territori amati.

Raccontaci delle storie o spiegaci dei video che hai fatto e che trovi interessante!

Nell’ultimo anno è successo che trovassi più carcasse di individui di varie specie del solito.

Osservare, sia in fototrappola che dal vivo, il rapporto degli altri selvatici, conspecifici e non, con “la morte” mi ha fatto riflettere, emozionare.

Dalla coppia di volpi che trova un individuo morto vicino alla propria tana, cosa che li porta a stare, nervosamente, attorno senza che si avvicinino del tutto, per 24 ore filate, agli scoiattoli che giocano sul dorso di una femmina di cinghiale morta una settimana prima.

Beh.. poi i tassi, i tassi sanno sempre come essere divertentissimi, anche in queste situazioni!

Come hai visto cambiare la montagna in questi anni?

Domanda enorme per un naturalista, abituato a vedere e cercare legami tra ogni componente dello scibile! Scherzi a parte…

E’ secondo me una questione delicatissima che va a toccare tanti aspetti della nostra civiltà, cultura e futuro. In un paese come il nostro probabilmente più che in altri.

Le mie preoccupazioni e fonti di speranza sono molte; in entrambi i casi più che il “come cambia la montagna” riguardano il cambiamento della possibilità per l’uomo di vivere, sentire e continuare ad imparare e trarre ispirazione da un ambiente naturale in un certo modo.

Più che la Montagna (con i suoi abitanti) in sé, ché il suo equilibrio, per quanto “stressato” di questi tempi, lo trova e continuerà a farlo.

Vedo tante dinamiche perlomeno discutibili, a livello di approccio, di gestione e di eventuale mantenimento di un certo tipo di equilibrio; vedo anche tanta mancanza di consapevolezza e scarsa conoscenza, a livello culturale, scientifico così come sportivo/diversivo.

Certamente vedo pure tutto ciò che si muove spinto da sana e rispettosa curiosità e dal desiderio di conoscere a pieno questo tipo di ambiente e che mostra una tensione a migliorare questo equilibrio.

Nell’incertezza di come evolverà, la Montagna, l’intera questione ambientale così come la nostra società e la nostra cultura, a mio parere si sta facendo, comunque sia, decisamente troppo poco per educare profondamente le nuove generazioni al riguardo. E per ricordare l’importanza della scienza e del ruolo che dovrebbe avere. In questo momento, almeno.

Il video più emozionante che hai ripreso?

Un paio di bei ritratti di Slavc, maschio alpha della Lessinia, fatti recentemente.

Più che per ciò che succede nelle riprese, per quello che questo individuo rappresenta per i nostri territori, per questo periodo storico ma soprattutto per ciò che ha rappresentato per me in questi anni.

Grazie mille Alberto per questa bella intervista, invito a seguire Alberto e il suo progetto molto interessante Voci dal Bosco su Facebook e su Instagram.

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